Da quando ha incominciato a fare campagna elettorale senza fermarsi un solo giorno, Matteo Renzi, consapevole del rischio, ha trasformato il referendum sulla riforma costituzionale in un vero e proprio plebiscito su se stesso e sulla permanenza a Palazzo Chigi, un sí o un no sull'azione del governo, quando i sondaggi davano inizialmente avanti il Sì. Poi, con il passare del tempo, la situazione è mutata alla vista di una possibile disfatta che gli ha costretto a cambiare agenda tra cui quella di posticipare la consultazione da Ottobre a Dicembre in modo che egli guadagni più tempo per pescare voti negli indecisi e negli italiani all'estero, ed è un pretesto per mettere mano all'Italicum, cancellando il temuto ballottaggio che porterebbe ancora ad oggi alla vittoria del Movimento Cinque Stelle, a tal punto da riguadagnare la fiducia dell'ala dissidente all'interno del Partito Democratico e di tutti quelli che apprezzeranno il ritocco della legge elettorale; questi ultimi disponibili a patto di confluire nel carro governativo insieme al padre della schiforma Denis Verdini, ormai da tempo in maggioranza per svolgere il compito di salvaguardare i numeri dell'esecutivo al Senato e sorreggere il governo nei momenti in cui rischia spesso di inciampare.
Dal giorno in cui hanno fissato la data del
rinvio fino a ieri, il bischero fiorentino ha condotto una campagna
referendiaria al sapor della disperazione: promettere mare e monti (abolizione
dell'Equitalia, bonus e quattordicesima ai pensionati, fondi alla sanità,
riduzione delle tasse e rinnovo del contratto nazionale ai lavoratori stabili
sulla base di un aumento di 85 euro lordi per i redditi bassi), inviare lettere
e truccare le schede elettorali degli italiani all'estero, attivare, insieme ai
sindaci, un colossale voto di scambio promettendo turismo, palate di denaro e
fritture di pesce per un pugno di voti, confondere il vero senso della riforma
con un quesito poco trasparente e ingannevole, alimentare, per esaurimento di
balle, un clima intimidatorio nei confronti del paese con scenari catastrofici
(come è accaduto in Inghilterra e negli Stati Uniti ritenute poi fallimentari
le analisi e i sondaggi dei fan dell'anti-Brexit e della Hillary Clinton) per
esempio lo spread che sale, i timori degli investitori e le tensioni sui
mercati e le porte spalancate a Beppe Grillo e ai fenomeni populisti di estrema
destra. Nonostante l'appoggio smisurato e svenevole da parte del mondo
dell'imprenditoria e dell'economia e finanzia italiana e straniera, alle quali,
della riforma Boschi-Verdini-Berlusconi, non hanno letto nemmeno una riga e
danno il loro assenso per conservare i propri interessi, vuole vincere a tutti
i costi con qualsiasi mezzo sleale. Uscire indenne dal referendum
significherebbe due cose: 1) rafforzare la propria leadership e respirare un
altro anno; 2) riprendere i lavori del cantiere per la costruzione del Partito
della Nazione, una Democrazia Cristiana 2.0 che contiene dentro di tutto e il
contrario di tutto allargando lo spazio sia a destra che a sinistra con uno
sguardo al centro moderato con lo scopo di vincere le prossime elezioni
politiche e di restare in eterno al potere. Questo è il segno proibito di
Renzi.
Tranquillo, anzi stai sereno Matteo, nessuno vuole toglierti
la bella e comodante poltrona in pelle umana. Il popolo è sovrano. Il day after
al referendum, con qualsiasi esito, con il bicameralismo o il momocameralismo,
con l'euro o senza la moneta unica, sarai il governo a prendere le
responsabilità su una legge costituzionale imposta da loro stessi a colpi di
maggioranza e se vuole mantenere la stabilità evitando governicchi tecnici
senza passare dal voto (come se lui fosse non stato proclamato dal Presidente
della Repubblica), di cui non a caso nel Novembre 2011, all'epoca del governo
Monti, lo appoggiò approvando insieme le peggiori porcherie (e ora, in campagna
referendaria, fanno finta di nulla), basterebbe restare a Palazzo Chigi con la
stessa maggioranza, scippata nel Febbraio 2014 ad Enrico Letta a colpi di
hashtag #Enricostaisereno, e con un programma opposto condiviso e votato dagli
elettori del Partito Democratico tre anni fa. Se vincesse il Sì: 1) non esiste
nessun risparmio di mezzo miliardo. Non verrà abolito il CNEL, come ha
spiegato il presidente Napoleone in un'intervista a Libero. Il risparmio
possibile è circa 50 milioni. Insomma solo briciole. Tagliando i senatori,
rimane tutto l'apparato. Per esempio gli stenografi, pagati 290.000 euro
l'anno, più del Re di Spagna, e 50.000 euro in più di quanto prendeva
Napolitano. Oppure i parrucchieri (160.000 euro/anno). E i 1500 dipendenti
della Camera non prendono certo di meno. Per farla breve, i 962 dipendenti del
Senato hanno una busta paga media di 170.000 euro/anno, che da soli fanno un
totale di 163 milioni di euro. Poi pensioni, auto blu, riscaldamento, luce,
benzina e mille costi vari; 2) non verrà abolito il Senato, ma cambierà il nome
in Camera delle Autonomie. L'unica abolizione certa è l'elezione diretta dei
senatori malgrado la bufala dell'ultima ora di Renzi mostrando una fake-simile
di una scheda elettorale per dimostrare le modalità di scelta inesistenti. I 95 senatori, la classe politica con più
indagati e più condannati, verranno eletti in gran segreto dalla casta politica
all’interno dei Consigli regionali, attualmente quasi in mano al Partito
Democratico. Quindi un Senato costituito completamente da nominati, non solo:
con l’attuale legge elettorale per la Camera, i cittadini italiani non potranno
più eleggere nemmeno una buona parte dei deputati, poiché saranno gli stessi
partiti ad indicare il nome del primo degli eletti in ogni collegio. Il nuovo
Senato diventerà un dopolavoro part time per consiglieri regionali e sindaci
con doppio lavoro, solo che lavoreranno part-time metà settimana a Roma metà
settimana nelle loro città, con il rischio di fare male i mestieri. Per i
membri con il doppio incarico e muniti di immunità parlamentare, avranno
rimborsi per trasferte, vitto e alloggio e si teme il rischio di un altro caso
Rimborsopoli; 3) perderanno l'autonomia le Regioni e altri enti locali, i quali
non potranno intervenire e pertanto nè opporsi nè spiegare le proprie
condizioni alla decisione univoca dello Stato sulle materie urgenti; 4) si teme
il rischio di un uomo al comando. Con il meccanismo del famoso Italicum,
permetterebbe al partito, avente un quinto dei voti al primo turno, di prendere
il 55% dei deputati e consentirebbe di eleggere il proprio Presidente della
Repubblica, del Senato, della Camera, della Corte Costituzionale e i propri
uomini di fiducia alla Rai; 5) si risparmierà tempo e fatica per approvare le
leggi. Strano che le leggi porcate sono state approvate in brevi tempi come
lodo Alfano (approvato in 15 giorni), legge Fornero (approvata in 16 giorni) e
legge Boccadutri (approvata in 22 giorni) mentre la legge anticorruzione in
1456 giorni. Il problema è il il ping-pong tra le due Camere o la volontà dei
partiti all'interno della scatola parlamentare? Direi la seconda.
Se vincesse
il No, non ci sarà nessun cataclisma e non spalancherà le porte al populismo:
niente glaciazione, niente invasione delle cavallette, niente gonorrea e niente
crisi economico-finanziario. Chiariamoci,
domani andrò al mio seggio per scongiurare un danno alla Costituzione
scritta dai nostri Padri Costituenti dopo la Resistenza, non per cacciare l’attuale
governo o per favorire la vittoria del Movimento Cinque Stelle.
Non è detto che
alle prossime elezioni politiche vinca Luigi Di Maio o Alessandro Di Battista
(dato che Beppe Grillo si è dichiarato un candidato ineleggibile) o che perda Renzi,
saranno gli elettori a scegliere a chi affidare le chiavi di Palazzo Chigi e e
responsabilità del paese.
Buon voto a tutti.
@fasulo_antonio
@fasulo_antonio
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