Quando una settimana fa, uscì in prima pagina sul quotidiano
locale La Gazzetta di Parma la notizia che Federico
Pizzarotti è finito nel registro degli indagati, non ho pensato alla
reazione del Partito Democratico, ma quella dei vertici
nazionali del Movimento Cinque Stelle.
Se per il sindaco di Livorno Filippo Nogarin,
hanno adoperato una linea morbida consigliandolo di continuare ad amministrare
il comune e aspettando il susseguirsi delle indagini in quanto egli
ha affermato che si dimetterà se dovesse prendere atto di aver violato le
regole del suo movimento di appartenenza, per il sindaco di Parma il
trattamento è stato differente.
Prima Roberto Fico lo ha invitato a fare un
passo indietro, poi una e-mail anonima, lo ha ufficialmente sospeso
perchè reo, di aver contravvenuto alla regola che prevede che un sindaco che
fosse raggiunto da un avviso di garanzia deve repentinamente informare il
direttorio e Beppe Grillo, nonchè unico garante del Movimento
Cinque Stelle dopo la prematura scomparsa di Gianroberto Casaleggio.
Quindi, secondo chi lo ha sospeso, Pizzarotti ha violato il principio di
trasparenza nascondendo nel suo cassetto da Febbraio l'avviso di garanzia e non
dicendo nulla ai vertici nazionali pentastellati, ma messa così, c'è
l'impressione, come tutti pensano, che la regola logica, come in tutti i
partiti, valga per punire un dissidente e non un ortodosso. Da quella
decisione di sospendere il sindaco di Parma, chi ne esca rafforzato è
sicuramente Nogarin, l'intoccabile per i grillini anche se, a differenza di
Pizzarotti, il suo reato è molto più grave, bancarotta fraudolenta.
Due sindaci M5S indagati per un semplice atto amministrativo
dovuto (il sindaco di Livorno ha eseguito nel bene dei suoi cittadini
l'azione di assumere i 33 precari nell'azienda per la raccolta dei rifiuti,
mentre l'altro collega di Parma ha semplicemente nominato qualcuno che gli
sembrava adeguato a fare il direttore del Teatro Regio), due maniere
differenti. Insomma, due pesi e due misure. Capisco che le vicende imbarazzano
e colpiscano i Cinque Stelle, ma per il momento a pagare le conseguenze non
sono Pizzarotti e Nogarin, bensì Luigi Di Maio. Purtroppo se facevi
della legalità e della trasparenza due cavalli di battaglia della tua azione
politica e, in un'intervista di quattro mesi fa sul quotidiano Libero,
sostenevi che tutti dovessero presentare le dimissioni dopo aver ricevuto un
avviso di garanzia, quando vieni colpito improvvisamente da una bomba boomerang
dovrebbe rimangiarsi le parole e cambiare toni prendendosi purtroppo le accuse
di doppiopesismo da parte degli partiti. Per questo, dico, al M5S come per
tutti i partiti, a chi tiene la buona politica, di modificare le regole
presenti nel Codice Etico e spiegare semplicemente e chiaramente quando un loro
eletto in Parlamento o un amministratore, raggiunto da un avviso di garanzia,
deve restare oppure dimettersi dall'incarico. Entrambi non sono tenuti a
dimettersi, perchè, in caso di dimissioni, sarebbero dei doppiamente coglioni.
Gli avvisi di garanzia vanno valutati a seconda di ciò che viene contestato
alla persona e, a mio parere, dovevano essere sospesi entrambi in attesa che la
magistratura faccia chiarezza purchè l'avviso di garanzia valga per tutti. Se
uno l'ha comunicato prima (Nogarin) e l'altro dopo (Pizzarotti) non cambia
nulla.
Dalla decisione di sospendere Pizzarotti si può dedurre due
errori: il primo, è che tutti pensano che il M5S ha sfruttato l'occasione, un
pretesto per farlo fuori. Per il direttorio e i garanti del
Movimento Cinque Stelle, il sindaco di Parma è sempre stato un problema. La
sua autonomia e la mancata promessa di non aver spento l’inceneritore che
poteva legalmente bloccare sono state le due gocce che hanno comportato da
lunghi anni ad un rapporto teso con i vertici nazionali. Trattato come un
appestato nelle due edizioni di Italia 5 Stelle e messo fuori all’uscio da Massimo
Bugani e da altri componenti del cerchio magico bolognese alla vigilia
delle regionali emiliane negando la facoltà di parlare sugli ottimi risultati
ottenuti a Parma e dando la colpa del disastro di quelle elezioni perché,
secondo le loro teorie, ha remato contro; la seconda è che ha aiutato gli
avversari a trasformare lo scandaletto locale a un caso nazionale con il Partito
Democratico, in versione grillina con quell’atteggiamento
giustizialista e giacobino, che usufruisce di quella vicenda per
poter dire "loro sono uguali agli altri e incapaci ad
amministrare i loro comuni figuriamoci Roma" e inoltre ad
equipararla con il sindaco di Lodi Uggetti arrestato perché truccava gli
appalti e poi faceva sparire le prove oppure del presidente PD campano
Graziano, che chiedeva i voti al clan dei casalesi. Due fatti pesanti scovate
dalle intercettazioni e non su un esposto delle opposizioni.
Una doppia coglionata, che paga dazio su scala nazionale e
non sulle amministrative, dove a Roma Virginia Raggi,
secondo gli ultimi sondaggi, può dormire tra due guanciali.
Io mi auguro che si possa trovare un compromesso tra
Pizzarotti, il direttorio e Beppe Grillo per riportare il sereno all'interno
del Movimento scongiurando una lotta interna, che favorisce gli uccelli di
malaugurio degli avversari e dei giornalisti pennivendoli.
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